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Il valore di un’emozione

psicologo san marino

A volte le parole non bastano.
E allora servono i colori.
E le forme.
E le note.
E le emozioni.
(Alessandro Baricco)

Una vita senza emozioni sarebbe un’esistenza grigia, spenta, monotona.

Le emozioni di fatti rappresentano esperienze che danno colore alla vita, creano sfumature di significato, di piacevolezza e spiacevolezza e costituiscono il carburante naturale dell’uomo, quel motore attivante capace di innescare motivazione, azioni, comportamenti.

Nel gergo tecnico, l’emozione viene definita una reazione dell’organismo rispetto ad avvenimenti esterni o interni e si manifesta con una serie di comportamenti fisici e psichici; essa è perciò un’esperienza multicomponenziale, fatta di valutazioni cognitive, di attivazioni neurobiologiche, di comportamenti, azioni e modificazioni facciali.

psicologa san marino

Secondo Paul Ekman, padre della teoria neuroculturale delle micro espressioni facciali, vi sono sette emozioni primarie, innate, universali, di cui ogni uomo, a prescindere dal luogo di appartenenza, fa esperienza. Esse sono gioia, sorpresa, tristezza, rabbia, disgusto, paura, disprezzo.

Tutte le altre che sperimentiamo nel nostro quotidiano, ad esempio la vergogna, il senso di colpa, l’imbarazzo, la depressione, vengono definite secondarie, ovvero apprese a partire dall’ambiente sociale, familiare e culturale nel quale siamo nati e cresciuti e di cui abbiamo ricevuto un influenzamento.

Ma… a cosa servono le emozioni?

Mi capita spesso di accogliere, all’interno della stanza di terapia, richieste di persone il cui desiderio è quello di bloccare, inibire, cancellare le emozioni, in quanto spesso costituiscono causa di sofferenze e disagio, sono troppo intense e per cui la soluzione da loro percepita come più efficace sarebbe quella di reprimerle e controllarle.

“Non voglio sentire più la rabbia, o l’ansia o la tristezza…”

Le emozioni che solitamente si ha il desiderio di sopprimere sono quelle più spiacevoli, erroneamente considerate sbagliate, scomode o ancora peggio, non socialmente accettate.

Ma cosa succederebbe se le emozioni fossero cancellate e represse, in particolare quelle più scomode, spiacevoli e di difficile gestione?

emozioni psicologia

Quello che si otterrebbe cancellando e sopprimendo queste emozioni sarebbe la perdita di una enorme quantità di informazioni preziosissime per la nostra persona, le quali possono servire a farci capire qual è il nostro bisogno e perderemmo inoltre anche la conseguente possibilità di re-agire, di far seguire un’azione a tale vissuto emotivo in modo da prenderci cura di noi.

Ogni emozione di fatti è un dono importantissimo, un messaggio ed un’informazione vitale che deriva da dentro di noi e che comunica qualcosa su noi stessi, su come stiamo vivendo e percependo l’ambiente circostante.

Ogni emozione ha una sua funzione, è un meccanismo di adattamento del nostro organismo evoluzionisticamente appreso dai nostri antenati, il cui scopo è di mantenere e garantire la propria sopravvivenza.

È più semplice comprendere la funzione di emozioni esperite come positive, ad esempio la gioia, la sorpresa… Al contrario, riflettere ed accettare l’importante messaggio che recano con sé vissuti emotivi più spiacevoli e dolorosi può essere più complesso.

Pensiamo alla rabbia ad esempio, un’emozione spesso rifiutata in quanto considerata scomoda, sbagliata; talvolta in alcuni contesti culturali, sociali e familiari viene additata come inaccettabile e chiunque la manifesti, viene sovente etichettato come una persona ”cattiva, rabbiosa”.

La rabbia invece è fondamentale, rappresenta una pulsione vitale! Freud già parlava di pulsione di aggressività come di una parte importantissima dell’essere umano: essa è quell’emozione che si attiva quando la persona percepisce di aver subito un’ingiustizia, un sopruso, quando i suoi confini personali sono stati profanati e l’attivazione fisica e mentale che dalla rabbia scaturisce permette all’individuo di ripristinare tali confini personali, di proteggersi e difendersi e riparare in tal modo la violazione dei propri diritti.

Dunque, la possibilità di poter esprimere in modo autentico i propri vissuti sentimentali costituisce un raffinato permesso che diamo a noi stessi, indice di genuinità e di contatto con il nostro modo interiore, ma al contempo è importante anche a livello sociale, in quanto manifestare le proprie emozioni dà la possibilità di mostrare agli altri quello che viviamo, le nostre reazioni, nell’ottica di una relazione permeata da autenticità e purezza.

Prima di esprimere le proprie emozioni però è necessario riconoscerle  

Dare a sé stessi il permesso e la possibilità di esteriorizzare i propri vissuti emotivi sia a sé stessi sia agli altri è fondamentale, ma prima di giungere a questo meccanismo, è necessario acquisire la capacità di riconoscerli e accoglierli.

Riconoscere le emozioni, significarle, assegnare loro il nome corretto, possono apparire come banali esercizi, tuttavia talvolta può non essere così.

Per riportare un esempio esemplificativo, ad un bambino piacciono tantissimo le caramelle e vorrebbe mangiarne a più non posso; la madre, in virtù del suo ruolo genitoriale, gli proibisce di mangiarne in quantità smisurata ed il bambino re-agisce a tale azione provando rabbia e la manifesta piangendo e urlando, in quanto la madre costituisce quindi un limite al suo godimento, un limite che agli occhi di quel bambino data la giovane età, può sembrare una grande ingiustizia, una prevaricazione. Se la madre tuttavia, ogni qualvolta che il figlio si arrabbia, gli dicesse “Non fare così, sei solo stanco”, il vissuto emotivo di rabbia del bambino non verrebbe convalidato, anzi si creerebbe una commistione ed una confusione fra stanchezza e rabbia, che il bambino, poi diventando adulto potrebbe non essere in grado di riconoscere.

Spesso da adulti si percepisce dentro di sé un groviglio di vissuti inestricabile, indefinito e imprecisato al quale la persona non sa dare risposte né spiegazioni; in tali casi l’individuo non è capace di districare la matassa ingarbugliata di percezioni che provengono da dentro di sé per ritrovare in modo ordinato e coerente le emozioni sottostanti.

L’alfabetizzazione emotiva dunque, riconoscere le emozioni, chiamarle col loro nome, accoglierle e normalizzarle è un passo propedeutico e al contempo centrale per la capacità di gestire le emozioni.

E pertanto, constato il valore inestimabile delle emozioni, si può intervenire su una gestione più adulta, più adeguata e funzionale delle emozioni senza che ciò comporti un loro annullamento.

In questo modo si rischia però di non legittimare un’emozione autentica che i noi sta emergendo, e ci stiamo con essa perdendo una serie di informazioni vitali per l’uomo, che possono servire a farci capire come possiamo prenderci cura di noi di cosa abbiamo bisogno.

Conclusione

E’ ormai chiaro il valore inestimabile delle emozioni come segnali attraverso cui la persona può prendersi cura di sé.  Esse vanno manifestate, espresse, ascoltate, ma prima ancora è necessario riconoscerle, chiamate col loro nome e accoglierle.

Un percorso psicologico può aiutare la persona a percorrere tutti questi passaggi, e accompagnarla nel lavoro di gestione delle emozioni, in modo da non farsi travolgere da esse, per trovare un modo di re-agire che sia funzionale, adulto e adeguato nel rispetto di se stessi e degli altri.

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